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Spettabile Redazione,
nel mio condominio continuano a ripartire le spese dell’acqua per teste, ovvero per il numero di persone residenti in ogni appartamento. È giusto questo criterio?
In realtà, no.
La ripartizione dei consumi dell’acqua condominiale si basa sui millesimi di proprietà: ogni condomino, insomma, dovrebbe pagare in ragione della tabella di proprietà, salvo che nelle unità immobiliari siano installati dei contalitri che consentano un’esatta lettura dei metri cubi consumati.
In verità, ogni criterio (per teste o per millesimi) è di per sé imperfetto: vi sono persone residenti nel condominio che trascorrono sei mesi in una seconda casa, così come vi sono familiari conviventi che, di fatto, non risiedono nel condominio.
Si tratta pertanto di scegliere il criterio più idoneo in astratto da applicare. Per questo, il contalitri resta il sistema più certo, ma di difficile installazione: spesso il flusso d’acqua dell’acqua giunge nell’abitazione da due o più montanti diversi.
In ogni caso il contalitri è da preferire nelle utenze commerciali (bar, ristoranti, parrucchieri) per via dei consumi diversificati rispetto agli usi domestici. Il criterio di riparto dell’acqua sanitaria è un diritto disponibile (cioè rinunciabile) che le parti possono regolare convenzionalmente: ecco perché il regolamento contrattuale del condominio può stabilire criteri particolari in grado di derogare quelli normativi.
In sostanza, la gerarchia dei criteri di riparto resta la seguente:
- regolamento contrattuale;
- contalitri che misura gli effettivi consumi idrici;
- millesimi di proprietà.
In nessun caso è contemplato il computo per teste.
La Cassazione con sentenza n°17557 del 1° agosto 2014 (solo per citarne una delle tante) ha confermato tale gerarchia, specificando che “le spese relative al consumo dell'acqua devono essere ripartite in base all'effettivo consumo, se questo è rilevabile oggettivamente con strumentazioni tecniche” ed escludendo, in ogni caso, il riparto in proporzione al numero di occupanti per abitazione.
Spettabile Redazione,
nel mio stabile un condomino ha aperto un b&b. Posso chiedere la cessazione dell’attività?
Il fenomeno del b&b (o affittacamere), mercato intorno al quale ruota un fatturato di circa 270 milioni di euro annui, è croce e delizia per molti condomini ed amministratori. La destinazione di alcuni appartamenti a b&b viene spesso osteggiata dai condomini, i quali lamentano la presenza e l’andirivieni, negli orari più disparati del giorno e della notte, di soggetti estranei alla compagine condominiale, spesso additati come capro espiatorio dei rumori, della sporcizia delle parti comuni e, a volte, considerati, addirittura, come una minaccia per la sicurezza nello stabile.
La normativa in materia è, purtroppo, molto varia e frammentata e il Legislatore nazionale ha delegato alle singole Regioni l’adozione di atti che regolino tale fenomeno. Il Legislatore, pertanto, dovrà, da un lato, garantire il diritto del proprietario di godere e di disporre del proprio immobile e, quindi, di darlo in locazione, dall’altro, dovrà tutelare la sicurezza, la tranquillità degli altri condòmini e il decoro dell’intero edificio.
Bussola della vita condominiale è, certamente, il regolamento, il quale può limitare l’avvio di tali attività nel caso in cui il divieto sia espresso in modo chiaro, esplicito e non generico. La proverbiale norma “è vietato l’utilizzo degli appartamenti ad uso diverso da quello abitativo”, non è sufficiente per impedire l’apertura di un b&b.
E infatti, giurisprudenza, fino all’altro ieri, era concorde nel ritenere lecite le attività di b&b, affittacamere e affini laddove, nel rispetto della normativa vigente in materia di sicurezza ed igiene, non alterassero la destinazione d’uso abitativo.
Ai fini della valutazione della liceità e dell’eventuale cessazione dell’attività di b&b, diversi Tribunali, tra cui quello meneghino e quello veronese, valutavano, poi, in concreto, la presenza di prove sull’effettiva e grave minaccia alla sicurezza e alla tranquillità dei condomini.
Tuttavia, recentemente, la Corte di Cassazione, con la sentenza n°109/2016, ha fatto un passo indietro: si è stabilito che non si possa destinare un appartamento ad “affittacamere, attività alberghiera o bed and breakfast laddove il regolamento di condominio vieti espressamente la destinazione delle singole unità immobiliari ad uso diverso da quello abitativo”.
L’espressione “uso diverso da quello abitativo” contemplata nel regolamento è sufficiente per ritenere le attività di affittacamere, alberghiera e di bed e breakfast incompatibili ed in contrasto con la sola destinazione consentita, ovvero quella abitativa. Ne consegue che tali esercizi ricettivi non possono essere avviati se il regolamento di condominio vieta “usi diversi da quello abitativo”, salvo approvazione in sede di assemblea.
La partita è, comunque, ancora aperta…
Spettabile Redazione,
nel mio condominio, molti balconi versano in pessime condizioni e necessitano di interventi di restauro. Come si ripartiscono le spese dei lavori?
Per poter rispondere a questa domanda, bisognerebbe conoscere la tipologia dei balconi dello stabile. I criteri di ripartizione delle spese per i lavori di intervento dei balconi, infatti, variano a seconda della tipologia dei medesimi.
Se si tratta di balconi “incassati” che non sporgono rispetto ai muri perimetrali, la soletta dei balconi si considera un prolungamento del solaio stesso che svolge la funzione di separazione, copertura e sostegno dei diversi piani dello stabile. In questo caso si applica l’art. 1125 c.c.
Il balcone, infatti, diventa un tutt’uno con il solaio e, pertanto, le spese per il rifacimento saranno a carico dei proprietari delle unità immobiliari cui tale solaio serve rispettivamente da piano di calpestio e da soffitto.
Più precisamente, il proprietario del balcone sosterrà le spese di manutenzione del pavimento del balcone, dei davanzali e della parte interna dei parapetti, mentre le spese per la soletta (travi portanti, armatura di ferri, gli elementi per l’isolamento termico) saranno sostenute da ciascun proprietario dei due piani in ragione della metà.
Infine, le spese per la tinteggiatura , intonaco del cosiddetto “cielino” restano a carico del proprietario del piano sottostante, a meno che il sottobalcone non presenti elementi decorativi tale da rendere prestigio all’intero stabile. In quest’ultimo caso, gli elementi decorativi e ornamentali sono considerati parte comune di tutti i condòmini e la rispettiva spesa andrà suddivisa tra tutti i proprietari in base ai millesimi.
Tutto cambia se si tratta di balconi “aggettanti” che sporgono rispetto alla facciata: in questo caso, l’art. 1125 c.c. non trova applicazione. I balconi aggettanti costituiscono, infatti, un prolungamento dell’unità immobiliare e appartengono in via esclusiva al proprietario di questa, unico soggetto tenuto a corrispondere le spese di manutenzione o rifacimento.
Tuttavia, anche in questo caso, se i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale del balcone contribuiscono a rendere lo stabile esteticamente gradevole, le spese saranno ripartite tra tutti i condòmini secondo i criteri millesimali.
Spettabile Redazione,
nel 2018 ho acquistato un immobile. L’amministratore, adesso, mi chiede il pagamento di rate scadute e non pagate dal precedente proprietario. Può farlo?
La questione del recupero crediti, da sempre, è uno degli aspetti più dibattuti e più controversi, soprattutto in caso di passaggio di proprietà.A chi si deve rivolgere l’amministratore per chiedere il pagamento delle rate condominiali insolute?
Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.
L’art. 63 delle disposizioni di attuazione del codice civile stabilisce che “Chi subentra nei diritti di un condòmino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente”.
Secondo tale norma, l’acquirente ed il venditore rispondono, in via solidale, per le spese maturate per l’anno in cui ha avuto luogo la vendita e per l’anno immediatamente precedente, dove per “anno di riferimento” si intende quello di esercizio, di gestione, e non quello solare.
Pertanto, le spese che entrambe le parti sono chiamate a sostenere comprendono, unicamente, quelle derivanti dall’esercizio in corso al momento della vendita dell’immobile e quelle relative all’esercizio precedente. Tutte le eventuali spese insolute riguardanti le altre annualità anteriori al tipico biennio resteranno a carico esclusivo del venditore.
Per quanto riguarda gli oneri straordinari, invece, l’orientamento costante e maggioritario della giurisprudenza è incline a ritenere che i medesimi dovranno essere corrisposti da colui che era proprietario al momento in cui è stata approvata la delibera dei lavori (Inter alias, Cass. 15547/2017). A nulla vale quanto eventualmente pattuito nell’atto di compravendita, il quale produce effetti solo tra le parti.
Alla luce delle considerazioni sopra enunciate, l’amministratore, a sua piena e totale discrezione, può rivolgersi sia al venditore che all’acquirente che è tenuto al pagamento, salvo rivalsa nei confronti del venditore. In caso di compravendita, poi, è diffusa la cattiva abitudine da parte del venditore di non trasmettere all’amministratore copia dell’atto di vendita. Questa “dimenticanza” può costare molto caro.
Sempre l’art. 63 disp. att. c.c., infatti, prevede come ulteriore onere a carico del venditore quello di trasmettere all’amministratore copia conforme dell’atto di vendita. In difetto, il venditore resta responsabile in solido con il compratore per tutte le spese condominiali successive alla vendita.
Spettabile Redazione,
sotto il mio balcone, vi è una pizzeria da cui fino alle undici di sera provengono rumori e fumi molesti. Ho chiesto di ridurre tali inconvenienti ma senza esito e sono costretto a rinunciare all’uso del mio balcone. Come possono agire?
La scelta dell’amministratore è un’impresa delicata e importante per l’intera compagine condominiale. Di seguito suggeriamo alcuni tra i requisiti più importanti da tenere in debita considerazione per la scelta dell’amministratore come il titolo di studio, i tempi di chiusura della gestione entro i termini di legge, la redazione di uno stato patrimoniale chiaro e preciso, il numero dei condòmini morosi, le ore di presenza in studio e, da non sottovalutare, la durata dell’assemblea: l’amministratore esperto sa gestire bene e con polso l’assemblea.
L’art. 1129 c.c. stabilisce che quando i condòmini sono più di otto, la nomina dell’amministratore è fatta dall’assemblea o, se non vi provvede, dall’autorità giudiziaria su ricorso di uno o più condòmini, o ancora, dall’amministratore dimissionario. Se il tenore letterale ante riforma stabiliva che la figura dell’amministratore era obbligatoria se vi erano più di quattro condòmini, la Riforma del 2012 ha innalzato il numero a otto. L’amministratore viene nominato con un quorum minimo di 500/1000 e con lo stesso quorum può essere revocato dall’assemblea.
Nel caso in cui non si raggiunga il quorum legale, ma l’amministratore venga ugualmente nominato, la delibera è impugnabile entro 30 giorni dalla data della delibera per i dissenzienti e astenuti e dalla data di comunicazione della delibera per gli assenti. Se l’amministratore, tuttavia, si accorge tempestivamente dell’errore, può riconvocare l’assemblea e sanare la precedente delibera assumendo il quorum legale corretto.
La revoca dell’amministratore, che avviene in sede assembleare con lo stesso quorum legale stabilito per la nomina (500/1000), può essere deliberata in qualsiasi momento e per qualsivoglia motivo. Oltre alla più comune revoca assembleare, il Legislatore ha contemplato anche l’ipotesi di revoca giudiziaria, richiesta da ciascun condòmino, qualora l’amministratore si sia “macchiato” di gravi irregolarità.
In particolare, l’art. 1129 XII comma prevede un elenco esemplificativo, ma non esaustivo, di “grave irregolarità” che possono determinare la revoca giudiziale quali l’omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto entro il temine di legge (entro 180 giorni dalla chiusura della gestione), la mancata esecuzione apertura e utilizzazione del conto corrente, la gestione secondo modalità che possono dare origine a confusione tra il patrimonio dell’amministratore e quello del condominio, aver acconsentito alla cancellazione di un debito, la mancata o non corretta tenuta del registro di anagrafe condominiale, del registro verbali assemblee, di nomina e revoca amministratore.
Il Tribunale, in camera di consiglio, sentito l’amministratore e il ricorrente, emette un decreto di accoglimento o rigetto avverso il quale è possibile fare reclamo nel termine di 10 giorni dalla comunicazione o notifica.
In caso di accoglimento della domanda di revoca, il ricorrente, per le spese legali, ha titolo di rivalsa nei confronti del condominio che, a sua volta, può rivalersi nei confronti dell’amministratore revocato.
Resta evidente il fatto che l’amministratore revocato dal Giudice non possa essere nominato nuovamente dall’assemblea, senza tuttavia, che la Legge precisi un limite temporale.
Spettabile Redazione,
il condominio dove abito vuole iniziare una causa nei confronti di un fornitore. Posso esprimere il mio voto contrario?
Accade molto più spesso di quanto possiamo immaginare che un condòmino non desideri partecipare ad una causa promossa dal condominio o resistervi. Tale scelta è motivata più da mortivi meramente economici che da ideali di pace. Ma andiamo con ordine.
Una causa civile, dopo anni, si conclude con l’emissione di una sentenza contraria ad una parte e, invece, favorevole all’altra. Oltre alla delusione e alla rabbia, si aggiunge, sotto il profilo meramente economico, la condanna al pagamento delle spese processuali sostenute. Nel nostro ordinamento, infatti, vige il principio di soccombenza: in altre parole chi perde, paga!
Per ovviare tale situazione, il legislatore ha introdotto una norma di carattere inderogabile ed eccezionale. L’art. 1132 del codice civile consente al condòmino che non intende avviare o resistere ad una lite tra il condominio ed un terzo soggetto (per esempio, i fornitori) di esprimere il proprio dissenso alla lite. Così facendo, il condòmino può esprimere il proprio voto contrario e, in caso di soccombenza da parte del condominio, non sarà chiamato a pagare le spese processuali alla parte vittoriosa.
La questione del recupero crediti, da sempre, è uno degli aspetti più dibattuti e più controversi, soprattutto in caso di passaggio di proprietà. A chi si deve rivolgere l’amministratore per chiedere il pagamento delle rate condominiali insolute?
Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.
L’art. 63 delle disposizioni di attuazione del codice civile stabilisce che “Chi subentra nei diritti di un condòmino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente”. Secondo tale norma, l’acquirente ed il venditore rispondono, in via solidale, per le spese maturate per l’anno in cui ha avuto luogo la vendita e per l’anno immediatamente precedente, dove per “anno di riferimento” si intende quello di esercizio, di gestione, e non quello solare.
Pertanto, le spese che entrambe le parti sono chiamate a sostenere comprendono, unicamente, quelle derivanti dall’esercizio in corso al momento della vendita dell’immobile e quelle relative all’esercizio precedente. Tutte le eventuali spese insolute riguardanti le altre annualità anteriori al tipico biennio resteranno a carico esclusivo del venditore.
Per quanto riguarda gli oneri straordinari, invece, l’orientamento costante e maggioritario della giurisprudenza è incline a ritenere che i medesimi dovranno essere corrisposti da colui che era proprietario al momento in cui è stata approvata la delibera dei lavori (Inter alias, Cass. 15547/2017). A nulla vale quanto eventualmente pattuito nell’atto di compravendita, il quale produce effetti solo tra le parti.
Alla luce delle considerazioni sopra enunciate, l’amministratore, a sua piena e totale discrezione, può rivolgersi sia al venditore che all’acquirente che è tenuto al pagamento, salvo rivalsa nei confronti del venditore. In caso di compravendita, poi, è diffusa la cattiva abitudine da parte del venditore di non trasmettere all’amministratore copia dell’atto di vendita. Questa “dimenticanza” può costare molto caro.
Sempre l’art. 63 disp. att. c.c., infatti, prevede come ulteriore onere a carico del venditore quello di trasmettere all’amministratore copia conforme dell’atto di vendita. In difetto, il venditore resta responsabile in solido con il compratore per tutte le spese condominiali successive alla vendita.
La scelta dell’amministratore è un’impresa delicata e importante per l’intera compagine condominiale.
Di seguito suggeriamo alcuni tra i requisiti più importanti da tenere in debita considerazione per la scelta dell’amministratore: il titolo di studio, i tempi di chiusura della gestione entro i termini di legge, la redazione di uno stato patrimoniale chiaro e preciso, il numero delle morosità presenti nel condominio, le ore di presenza in studio e, da non sottovalutare, la durata dell’assemblea: l’amministratore esperto sa gestire bene e con polso l’assemblea.
L’art. 1129 c.c. stabilisce che, quando i condòmini sono più di otto, la nomina dell’amministratore è fatta dall’assemblea o, in mancanza, dall’autorità giudiziaria su ricorso di uno o più condòmini, o ancora, dall’amministratore dimissionario.
L’amministratore viene nominato con un quorum minimo di 500/1000 e la maggioranza degli intervenuti e, con il medesimo quorum, può essere revocato in sede assembleare.
Nel caso in cui non venga raggiunto il quorum legale, ma l’amministratore venga ugualmente nominato, la delibera è impugnabile entro 30 giorni dalla data della delibera per i dissenzienti e astenuti e dalla data di comunicazione della delibera per gli assenti, previa mediazione.
Se l’amministratore, tuttavia, si accorge tempestivamente dell’errore, può riconvocare l’assemblea e sanare la precedente delibera assumendo il quorum legale corretto.
La revoca dell’amministratore può essere deliberata dall’assemblea in qualsiasi momento e per qualsivoglia motivo.
Oltre alla più comune revoca assembleare, il Legislatore ha contemplato anche l’ipotesi di revoca giudiziaria, richiesta su ricorso di ciascun condòmino, qualora l’amministratore si sia “macchiato” di gravi irregolarità.
In particolare, l’art. 1129 XII comma contempla un elenco esemplificativo, ma non esaustivo, di “grave irregolarità” che possono determinare la revoca giudiziale quali: l’omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto entro il temine di legge (180 giorni dalla chiusura della gestione), la mancata apertura e utilizzazione del conto corrente, la gestione secondo modalità che possono dare origine a confusione tra il patrimonio dell’amministratore e quello del condominio, l’aver acconsentito alla cancellazione di un debito, la mancata o non corretta tenuta del registro di anagrafe condominiale, del registro verbali assemblee, di nomina e revoca amministratore.
Il Tribunale, in camera di consiglio, sentito l’amministratore e il/i condòmino/i ricorrente/i, emette un decreto di accoglimento o rigetto avverso il quale è possibile fare reclamo nel termine di 10 giorni dalla comunicazione o notifica.
In caso di accoglimento della domanda di revoca, il ricorrente, per le spese legali, ha titolo di rivalsa nei confronti del condominio che, a sua volta, può rivalersi nei confronti dell’amministratore revocato.
Resta pacifico il fatto che l’amministratore revocato dal Giudice non possa più essere nominato nuovamente dall’assemblea, senza tuttavia, che la Legge precisi un limite temporale entro il quale tale nomina non deve avvenire.
Avere sempre più luce ed aria, poter contemplare un panorama mozzafiato: spesso sono questi i motivi per i quali i proprietari degli ultimi piani degli edifici intendono “sopraelevarsi”.
In materia condominiale, con il termine “sopralevazione” si indicano tutti gli intereventi di nuova costruzione che si eseguono sopra l’ultimo piano o sopra il lastrico solare esistente, aggiungendo uno o più piani in altezza.
Qualora vi sia un proprietario esclusivo della copertura dell’edificio condominiale, è a quest’ultimo che spetta il diritto di sopraelevare, anche se non possiede altre proprietà nel condominio.
È possibile sopraelevare nel rispetto dei limiti posti dall’art. 1127 c.c., salvo che non sia diversamente previsto dal regolamento, dal rogito, dal contratto di acquisto e sempre che la nuova costruzione non crei alcun pregiudizio alla staticità e al decoro dello stabile.
Qualora vengano rispettati tutti i limiti previsti dalla legge non si ritiene necessario, in linea di principio, chiedere ed ottenere il consenso degli altri condomini alla sopraelevazione o alla cessione del diritto di superficie al fine di sopraelevare.
Il recentissimo orientamento della giurisprudenza (Cass. n°7563 del 18 marzo 2019), infatti, ha confermato che il proprietario dell’unità immobiliare sita all’ultimo piano, avendo acquistato la proprietà dell’intero lastrico solare, acquisisce anche la potenzialità edilizia con il relativo diritto di sopraelevazione.
La Suprema Corte ha, poi, confermato il principio secondo cui il titolare della superficie, allorché eleva una nuova costruzione, anche se entra automaticamente nel condominio per le parti comuni ad esso, ha un solo obbligo nei confronti dello stesso: quello di dare un tetto all’edificio, restando, tuttavia, sempre titolare del diritto di sopralzo.
Resta, infine, salvo l’obbligo di colui che fa la sopraelevazione di corrispondere agli altri condòmini un’indennità pari al valore attuale dell’area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, e detratto l’importo della quota a lui spettante.